Collages di Uve Fischer

Uve Christian Fischer , Berlin, 18 maggio 1991    


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Luoghi dell'anima e macchine testuali
Davide Gasperi [13 aprile 2008 ore 22:56 davide@davidegasperi.it ]

E' forse uno dei collage che più direttamente si riferiscono alla vita di Uve, alla sua biografia, rielaborandola e cercando di far cagliare in figura sentimenti complessi. Ad una vecchia immagine della Stazione Ferroviaria di Pisa, che ce la mostra ancora con la vecchia copertura in ferro-vetro delle stazioni ottocentesche è apposta la scritta titolante "Berlin". Un frammento colorato di una facciata di palazzo di inizio novecento è poi incastonato nella parete che corre lungo i binari. Il tentativo di connettere le due città prende ovviamente senso se si considera come principio oridantore la biografia dell'autore e se si ipotizzano dei nessi basati sulle sue vicende.
Sull'onda di ormai lontani accenni e frammentari riferimenti cerco quindi di sviluppare l'interessante intrigo spaziale, sentimentale ed identitario. Con la diretta responsabilità nel rischio di costruire nessi arbitrari e il dolore di non peterne più fare materia di discussione. Collegando allora questi frammenti si può dire che Uve conobbe Berlino nei primi anni trenta del novecento quando accompagnava suo padre in certi fine settimana Berlinesi in cui prendevano alloggio nei pressi di una stazione centralissima della città: la Anhalter Banhoff.
Quella era la Berlino degli anni Trenta, la sfolgorante metropoli tedesca, innervata dall'effervescenza mondana prodotta, anche, dall'orgoglio della palingenei post-bellica. Durante il nostro viaggio in Germania del 94 mi raccontava che c'era un albergo su un lato della piazza prospicente la stazione dove si fermavano qualche giorno per incontri d'affari e di conoscenti. Suo padre era l'amministratore di un consorzio di ceramiche della Turingia ed aveva rapporti commerciali con tutto il territorio nazionale.
Per Uve quelle erano le prime occasioni di viaggio e di conoscenza di una grande città. Con la guerra Uve perde la propria casa, la propria terra e diviene esule in Germania Ovest. Berlino è distrutta, della vecchia e importante stazione rimane in piedi solo un pezzo della facciata. Uve viaggerà molto prima di arrivare a Pisa insieme alla famiglia, nel 1972. Egli considera Pisa e la Toscana la sua seconda terra, qualche volta si diceva "turingio etrusco". Attraverso questa cartolina che mostra un assetto ormai perduto della stazione pisana egli ha modo di collegare due dimensioni della sua esperienza che vanno a coincidere. La similare morfologia architettonica dei due luoghi, ovvero la copertura in ferro-vetro- è ormai perduta. Ma si riallaccia nella composizione artistica e fonde questi due luoghi della memoria e dell'identità costruita nel corso della sua vicenda. Ed anche il castone architettonico partecipa al piano programmatico di una composizione di frammenti. Se la ghestalt morfologica e mnemonica della composizione trovano una piena spiegazione solo nel suo sguardo e nel suo ricordo forse anche lo stile di quel palazzo, oltre una immediata funzione di ravvivamento cromatico dell'immagine riverberano le tracce dei qui giorni, di quelle architetture. E non si può non sottolineare che questo paesaggio virtuale in cui le figurine sono ravvivate per produrre un effetto di presenza (sono gli astanti, i testimoni) partecipano al tentativo di rendere vivo l'atto della combinazione delle tracce delle memoria, per metterle fuori da se e dargli concretezza tangibile. Per rielaborare attraverso l'arte pezzi di storia e d'identità.
In seguito egli intitolerà questo assemblaggio anche come "Kafka a Berlino". Per adesso non ho ulteriori dettagli su questa ulteriore attualizzazione tematica del testo visivo e la curiosità mi impegnerà a rituffarmi nelle sue mille carte. In estema sintesi si può però dire che il rapporto di Uve con la letteratura e il pensiero di K. è stato lungo e per certi versi simpatetico. Con lui ho fatto lunghe chiaccherate, soprattuto negli anni ottanta, sulle macchine narrative dell'autore praghese. Poi abbiamo smesso di parlarne e per quanto ne so se ne è occupato sempre meno, anche professionalmente. Ma quando si è smesso di parlare di K. è stato anche il momento in cui egli ha cominciato a costruire collages. E mi sto consolidando nella convinzione che per come essi mettono in scena le componenti figurali e iconografiche, le intessono e le offrono all'attenzione di chi guarda scatenando molteplici piani di significazione e di implicazione visiva e concettuale, di allusioni e negazioni di legittimità intepretativa esse emulino certe macchine testuali kafkiane, oltre che a svilupparne alcune tematiche.
Uve pare insomma applicare la lezione appresa dalla maestria kafkiana di costruire ordigni testuali che avviluppano il lettore nelle spire di una macchina che al tempo stesso ha una rigore formale assoluto, e sembra quindi suggerire l'esistenza di una chiave interpretativa stringente, e nel mentre scarica sul lettore la responsabilità di dover scegliere un senso ultimo che sia valevole per lui e rispetti il dispositivo scatenante. Questo, ovviamente, se accetta il gioco fino in fondo.




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