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set 2018 |  commento   
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> L'Annunciazione di Piero

Un'opera che ci offre tutta una serie di dispositivi testuali che chiedono di essere interpretati e che attivando una serie di contraddizioni elevano via via la complessità e la ricchezza iconologica del testo




Roberto Longhi racconta che le monache di San'Antonio a Perugia avevano commissionato a Piero della Francesca un'opera di impostazione arcaica. D'altra parte i francescani erano abituati a Giotto, che usava l'architettura per restituire le temporalità delle storie sacre sfruttando la spazializzazione di scene e personaggi, quindi interni ed esterni, sopra e sotto, grande e piccolo, lontano e vicino, e così via. Piero invece con questo Polittico di Sant'Antonio (1469, fig.1) fa assumere all'architettura e alla spazialità che imbastisce precise funzioni simboliche di natura speculativa sui temi sacri, cosicché la qualità dello spazio e delle sue costruzioni plastiche (gli edifici) e pittoriche (le immagini risultanti) diventano veicolo e stimolo per esperienze estetiche e mistiche.



 
Fig. 1. Piero Della Francesca, Polittico di Sant'Antonio, 1469. Perugia Galleria Nazionale dell'Umbria  Z     P    

Lo esibisce chiaramente con le aureole, entità simboliche che qui assumono concreta consistenza materiale: spessi dischi d'oro riflettono le teste che sormontano. Sono il sintomo e il campione di una regola adottata in tutta l'opera. Evidenze che non possono sfuggire ad uno sguardo attento, infatti catturano subito l'attenzione questi simboli in cui la materia assurge ad una sofisticata e ricca significazione simbolica e sacra. Il clou dell'inventiva di Piero si addensa tuttavia nella cimasa con la sofisticata Annunciazione (fig.2), in cui però le aureole non ci sono. Già nell'impaginazione degli spazi così armoniosamente e saggiamente tagliati e composti in rapporto al profilo frastagliato della cimasa spicca un'eleganza straordinaria. Se arcaico doveva essere, il polittico gioca qui una partita straordinaria nelle messa in scena della dialettica tra le due dimensioni dell'opera e la terza dello spazio simulato. Purtroppo l'aggiunta della cornice dorata e dei colonnini tortili in gesso dorato (ma Longhi sostiene che ci fossero già quando Piero viene incaricato di portare avanti l'opera) sporca la leggibilità dell'artificio che Piero imbastisce per staccare lo spazio dell'Annunciazione dal gruppo centrale del polittico a fondo oro, una concessione alla tradizione gotica subito violata con l'escavazione dell'avvolgente nicchia, per una Madonna masaccesca, che sembra anticipare la Pala di Brera.



 
Fig. 2. Piero Della Francesca, Annunciazione, Polittico di Sant'Antonio, 1469. Perugia Galleria Nazionale dell'Umbria  Z     P    


Ambiguità tra 2D e 3D

Ma tornando all'Annunciazione, e ad altri giochi di ambiguazione tra bidimensionalità e tridimensionalità, non è facile sottrarsi al tranello di ritenere la Madonna più vicina a noi della coppia di colonne interposte tra lei e l'arcangelo. Piero dipinge la madonna più alta delle colonne, anche se proporzionata a Gabriele. In pieno regime figurativo gotico afferma subito la preminenza di queste due figure ma subito impone all'attenzione qualità e forma di uno spazio armonioso e riccamente dettagliato. Uno spazio in cui la perfezione della dolce fuga prospettica della galleria stabilizza il leggero turbamento delle contraddizioni emergenti e permette di accedere a verità più profonde di quelle visibili con gli occhi.


Prospettiva come mezzo per esaltare l'armonia celeste

Se l'occhio di chi guarda è catturato dalla verifica di quella spazialità, dall'accattivante bellezza della galleria simulata che gli si dipana sotto gli occhi ha modo di compiere un salto interpretativo di livello logico e semiotico. In primo luogo non si deve dimenticare che questi sono gli anni in cui Brunelleschi formula la "Prospettiva legittima", e Piero è uno degli intellettuali e pittori che col "De prospectiva pingendi" e coi pennelli, partecipa alla sua sistematizzazione a fini pittorici. Sono gli anni in cui la prospettiva è ancora ritenuta una vera e propria scienza della visione (Leonardo la relativizzerà ad artificio rappresentativo nei primissimi del Cinquecento) e opere come questa hanno un impatto notevole su un pubblico che non ha mai visto raffigurare spazi così concretamente realistici, così perfetti, così capaci di specchiare l'armonia celeste e costruirne un simulacro apprezzabile. E appena ci si mette a verificare lo spazio, lasciando le figure e le loro incoerenze proporzionali in secondo piano, salta fuori un'altra dimensione. Succede come con quelle illusioni ottiche che combinano due figure differenti e tra loro incongrue: quando ci si sintonizza su una non si riesce a vedere anche l'altra. Tutto ciò avviene in un'opera che mette in campo tutta una serie di dispositivi testuali che chiedono di essere interpretati e che fanno aumentare la complessità semiotica del testo perché sembrano attivare una serie di contraddizioni che elevano via via il livello di complessità iconologica.


Immersione nella spazialità dominata da Cristo-colonna

Qui, immergendoci nella spazialità si è condotti a scoperte non banali. A partire dalle colonne, elemento strutturante fondamentale dello spazio. La colonna elemento che collega la terra al cielo, il terreno col divino simboleggia l'incarnazione di Cristo e le colonne compaiono in quasi tutte le annunciazioni. Ecco allora che l'architettura è subito sacralizzata: è edificio umano e divino al tempo stesso. E qui, come nella maggior parte delle annunciazioni, rispetto alla composizione bidimensionale, la colonna è collocata tra Maria e l'arcangelo Gabriele, dato che Cristo è il protagonista materialmente assente della rappresentazione (fig.3). Entra così in scena il tema dell'annunciazione di chi ancora non c'è ma che pervade già lo spazio si, può dire parafrasando la pregevole trattazione teorica del tema di Daniel Arasse. Ma come si diceva Piero dà consistenza materiale ai simboli. E osservando bene pianta e alzato della scena sacra si scopre che una coppia di colonne è interposta anche nello spazio simulato nella raffigurazione, nel vivo della realtà dipinta. L'occhio indagatore, aiutato dalla geometria dell'impiantito ha infatti modo di realizzare quanto sia difficile ai due protagonisti vedersi per davvero. Geniale invenzione: un artificio pittorico enfatizza la dimensione astratta e immateriale di un evento la cui importanza trascende la materialità carnale del Redentore e quella materiale dell'edificio costruito.



 
Fig. 3. Schematizzazione dell'impianto spaziale dell'area di interazione tra l'Arcangelo Gabriele e la Madonna  Z     P    


Colonnato e armonia

Senza quella coppia di colonne la prospettiva risulterebbe interrotta, lo spazio sarebbe meno armonioso, meno perfetto. E se d'altra parte la dimensione bidimensionale della raffigurazione rassicura la fruizione più semplice e meno problematizzante, chi compie il salto interpetativo cogliendo il dettaglio della violazione, può capire quanto la mancanza di coerenza narrativa sia sublimata da un piano di significazione più complesso. Come con le aureole il simbolo è materializzato. Acquisisce una consistenza di cui la maestria pittorica può declinare ulteriori proprietà. E' interessante il fatto che il Cristo-colonna non si inquadri in una dotazione di maggiore coerenza spaziale e di verosimiglianza rappresentativa, ma anzi la verosimiglianza viene violata ed è colta solo da un occhio attento e disposto ad accettare la sfida interpretativa posta dalla complessificazione della macchina rappresentativa. Quasi a dire che la prospettiva è un artificio destinato a mostrare verità più complesse e profonde di quelle più immediatamente visibili. La concretezza diventa materia di espressione simbolica. Il simbolo diventa carne e pittura, la maestria del pittore può figurare la bellezza divina attraverso la simulazione dell'architettura dipinta. Un'edificio e uno spazio dipinti si offrono come anticipi della beatitudine ultraterrena per il tramite di una pittura che è capace di mostrarne un breve e luminoso campione. Perché la presenza di Cristo materializzato nel bel mezzo di una comunicazione orale che sembra passare per un intercolumnio, sottolinea come il punto centrale dell'annunciazione sia Cristo e la sua missione. Cristo colonna portante della Chiesa e del progetto di redenzione diventa edificio, costruzione, che nel momento in cui è dipinta è di nuovo simbolo mistico in una costruzione semiotica complessa. In fondo, anche nell'economia dell'istante dell'Annunciazione prescelto, quello della humiliatio, in cui Maria decide intimamente di accettare la missione e il raggio di Dio sta per raggiungerla, i protagonisti vivono un momento di separatezza.


Immersione virtuale come atto pragmatico

E se Cristo è la colonna tutto l'edificio è al tempo stesso umano e divino, nel momento in cui l'occhio si addentra nella galleria simulata accettando di vivere e godere un attimo di armonia e bellezza, percorrendolo, egli accetta un'interazione non solo simbolica, ma un vero e proprio atto pragmatico, che non si muove più solamente entro la dimensione cognitiva. Ma si dispone ad esplorare lo spazio come una vera e propria realtà virtuale odierna. D'altra parte la tecnologia contemporanea ha in quell'invenzione artistica tra le sue radici più profonde. L'avvio di una rigorosa geometrizzazione dello spazio e della simulazione della sua percezione è un prerequisito fondamentale nello spirito e nella sostanza dei conseguimenti contemporanei. Quello che mi colpisce è che almeno io, nelle odierne realtà virtuali, non ho ancora visto in azione sistemi di significazione così ricchi, stratificati, complessi, interessanti e belli.


L'autore del programma rappresentativo

Se tra gli aspetti che rendono quest'opera interessante e riuscita c'è il rapporto tra figure bidimensionali e spazio tridimensionale, rapporto conflittuale e molto abilmente articolato al fine di mettere in scena il programma iconografico dell'opera, viene da domandarsi se il programma rappresentativo sia stato elaborato da Piero o da altri. Un programma che combina la materializzazione degli attributi simbolici e li rende edificio e spazio con qualità, bellezza e perfezione divina è difficile che potesse essere nella mente di chi non aveva quella maestria e quell'intimità con lo sviluppo della prospettiva. E siccome, complessivamente, nel mentre finge di assecondare le richieste di una pittura arcaica sembra invece rivendicare il diritto di plasmare uno spazio che materializza bellezza e armonie divine per offrirle al godimento speculativo dell'osservatore, è difficile che possa essere stato concepito da altri. D'altra parte, come si è anche detto, nell'Annunciazione l'architettura dipinta diventa oggetto e corpo mistico. E se però serve una mentalità umanistica per accettare che le sembianze simulate di un manufatto umano possano veicolare un valore sacrale in ciò si può rintracciare anche la rivendicazione di un'abilità simulatoria. Piero pare insomma affermare: sono io che ti figuro un pezzetto di reale armonia celeste. Egli non è un eretico, però stravolge la semantica medioevale e si carica di una funzione teologica senza che forse la committenza se ne renda conto. In realtà è portatore di un approccio molto intellettuale che i francescani -nella loro semplicità dottrinale- forse non riescono a capire fino in fondo, ed è però capace di innestarlo su un impianto arcaico, apparentemente rispettandolo. E il suo discorso trascende anche quello che sembra essere il portato più immediato dell'artificio -nuovissimo- che usa. Perché la prospettiva garantisce verosimiglianza ma lui la nega per inscenare un simbolismo assai più sofisticato, innestato sulla negazione della verosimiglianza più ovvia. E' qui che è un genio: la prospettiva è specchio del vero, reale e concreto e nella sua essenza è una sorta di disciplina capace di strutturare il mondo e qui è utile per rappresentare l'armoniosa bellezza divina. D'altra parte l'elemento costruttivo "colonna" è simbolo di Cristo perché edifica l'unione tra la terra e il cielo, tra l'umano e il divino.


Riferimenti Bibliografici

Roberto Longhi, Piero della Francesca, Firenze, Sansoni, 1963
Daniel Arasse, L’Annunciazione Italiana. Una storia della prospettiva, Firenze Casa Usher, 2009?



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