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lavori
giu 1985 |  commento   





All'intersezione di luce e movimento


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All'intersezione di luce e movimento



Il cielo era coperto.
Con Agostino ed Uve stavo attraversando la Manica verso l'Inghilterra.
Ero appoggiato alla ringhiera del ponte con la macchina fotografica tra le mani e avevo lo sguardo sospeso sulle fluttuazioni della spuma sottostante. Pensavo alla mostra "Les Immateriaux", allestita da Jean-François Lyotard in quel periodo (aprile-luglio 1985) al Beaubourg di Parigi. Mostra che avremmo visitato al ritorno.
Ruminavo, quindi, su alcune suggestione teoriche come quella circa la derealizzazione della realtà e dell'esperienza indotta dalla pervasività delle nuove tecnologie elettroniche di produzione e riproduzione della realtà. Erano le teorie simulacrazioniste di Baudrillard e di altri teorici francesi che sostenevano come l'imminente prevalenza dell'immateriale ci avrebbe reso incapaci di distinguere il naturale dall'artificiale...

Improvvisamente la spuma divenne abbagliante, la sagoma della nave si stagliò, nerisimma, sul bianco; gli occhi bruciavano, feci per allontanarmi e nel movimento spostai una chiazza d'ombra scura e turbolenta: ero io. In quell'attimo mi ridestai dalle mie elucubrazioni provando una senzazione fisica e astratta al tempo stesso.
La spuma si formava e scorreva perchè la nave avanzava tagliando la superficie del mare. Avanzando eravamo entrati in una zona di cielo sereno e i raggi proiettavano l'ombra.
Rinvenni all'intersezione spumante di luce e movimento.


Scattai numerose foto delle ombre sulla spuma dalla prua alla poppa finché il sole non fu di nuovo velato. Dopo aver sviluppato i negativi stampai varie versioni delle foto e feci numerose elaborazioni. Tuttavia non sono mai riuscito a produrre che un'ombra - statica - di quella sensazione: fui incapace di rappresentare e rielaborare esteticamente quel concetto-sensazione provato.

In ogni modo, mi preme sottolineare che l'aspetto pregnante di quella esperienza, estesica ed estetica al temo stesso, fu quello di provare una forte sensazione di immaterialità al di fuori di qualsiasi dimensione riproduttiva e artificiale. Anche se una nave non è un prodotto di natura, pur essendo parte della nostra naturalità culturale. Anche da quella sensazione trassi la mia convinzione che la sensibilità verso l'immateriale poteva esercitarsi nella nostra ordinaria percezione della natura e della realtà: basta guardare diversamente il mondo. Infatti, l'enfasi sugli aspetti interrelazionali tra i costituenti della nostra esperienza e del nostro fare, è si favorita dal sempre maggiore potere di intervento e manipolazione della materia, potere incentrato sul dominio sulle regole combinatorie e manipolatorie applicate nelle trasformazioni. Ma quello che conta è a cosa si guarda del mondo. E i simulacri non sono destinati, necessariamente e ineluttabilmente, a prevalere sulla realtà ordinaria, quella non assistita da protesi artificiali.
Di li a poco tempo -alla fine degli anni ottanta- anche nel dibattito teorico più avvertito sulle nuove tecnologie si sarebbero andate a sondare le prospettive di una integrazione operativa e concettuale tra le dimensioni della realtà virtuale e di quella ordinaria.
Sul tema ho poi scritto un breve articolo dedicato ai virtuali grafici, scritto che cerca di distinguere le diverse nozioni di virtualità sulla base dei modi di funzionamento semiotico dei sistemi di simulazione visiva.

Nel 2003, su questo tema, penso che il Baudrillard de "Lo scambio simbolico e la morte" avesse in parte visto giusto, almeno sul piano degli effetti sociali. Infatti, nella società plasmata dai media la manipolabilità totale di marca digitale favorisce l'indistinzione tra vero e falso. Attraverso il registro spettacolare si esalta la performance della messa in scena, che diventa la dimensione in cui si giudica la sostenibilità dei ruoli assunti. Poi, in altri ambiti, là dove si può e si deve agire -almeno in parte- di fuori della dittatura economicista della efficienza performativa, si pensa e si guarda il mondo con altri strumenti e altri fini. E' senz'altro una delle conseguenze della fine della società di massa e della costituzione della società che chiamerei delle bolle di realtà. Bolle che sono più o meno impermeabili le une alle altre. E per viverci bisogna saper attraversare pareti immateriali e trasparenti che talvolta sono costituite da resistentissime barriere semiotiche.

| © davide gasperi