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giu 2025 |  commento   


> Intorno a delle labbra di diaspro giallo

Il contorno di queste meravigliose labbra di diaspro ci interroga sullo stile e le intenzioni che le hanno prodotte




Quello riprodotto nelle figure 1 e 2 è lo straordinario frammento di una testa di regina egizia in diaspro giallo conservato al Metropolitan Museum di New York.
In una prospettiva molto generale, il frammento è un oggetto dotato di un proprio status particolare; è parte di una totalità da cui è stato strappato via, quindi il modo in cui ci parla o ci permette di immaginare l'insieme di cui era parte è soggetto ad alcune condizioni e difficoltà. Tra queste il fatto che lo status del frammento cambia nel corso del tempo dando luogo a specifiche valorizzazioni e concezioni storiche.



 
Fig. 1. Bottega di Thutmose (attrib.), Frammento di testa di regina, diaspro giallo, Amarna ca. 1352-1336 a.C, Metropolitan Museum New York, Vista frontale  Z     P    



 
Fig. 2. Bottega di Thutmose (attrib.), Frammento di testa di regina, diaspro giallo, Amarna ca. 1352-1336 a.C, Metropolitan Museum New York, Vista di 3/4  Z     P    


La parte e il tutto

In ambito archeologico il frammento è spesso parte di un intero che è andato perduto. Quindi nella sua interpretazione lo si considera un campione rappresentativo di ciò che si suppone essere stilisticamente omogeneo e ciò ci spinge a considerare le sue caratteristiche come paradigmatiche per i tratti di un insieme che non conosciamo e di cui possiamo ipotizzare i dettagli in modo più o meno preciso. Questo quadro di aleatorietà può allora indurci a enfatizzare o sovrainterpretare le qualità di ciò che è rimasto come rappresentativo dei tratti morfologici e stilistici dell'insieme perduto. La mancanza innalza quindi la densità del rilievo del poco che abbiamo, che quanto più è ridotto ed entro una soglia di pregnanza comunque apprezzabile, permette comunque di fare ipotesi interpretative. Mentre oltre tale soglia il frammento troppo piccolo dà adito a troppe o nulle possibilità interpretative. Ma quel poco assume, anche per la sua ambiguità e plurivocità, una sorta di rilevanza sintomatologica perché ogni minimo aspetto o qualità può ingigantirsi o ridursi nelle ipotesi motivazionali che avanziamo facendo cambiare forma e senso a quel fantasma di manufatto perduto che quella rottura e mancanza ci rende più desiderosi di conoscere appieno. E naturalmente gli aspetti della mancanza, della perdita, di ciò che possiamo far fatica a immaginare anche a causa della distanza storica può farci provare una qualche forma di malinconia simile a quella che si provava nel XVIII secolo di fronte alla riscoperta dell'antichità proprio attraverso la nascente archeologia (intesa come disciplina sistematica) e che condusse Johann Heinrich Füssli al celebre disegno "La disperazione dell'artista davanti all'imponenza dei frammenti antichi" (fig. 3) che con la loro bellezza e perfezione rendevano impotenti e inadeguati a riprodurre tali livelli di qualità [1]]. Mentre nel nostro caso la malinconia è per l'impossibilità di poter godere della bellezza perduta nella sua integrità nonché di poter conoscere la regola che la sovrintendeva.



 
Fig. 3. Johann Heinrich Füssli, La disperazione dell'artista davanti dlla grandezza dei frammenti antichi, 1778-1780, seppia e sanguigna su carta. Zurigo, Kunsthaus  Z     P    


Alcune ipotesi interpretative

Come abbiamo detto, il frammento che per la sua bellezza, perfezione e complessità artistica ci interessa è ciò che resta della scultura di una testa di regina egizia in diaspro giallo, un quarzo compatto e molto duro. E' conservato al MET di New York e non è chiaro chi rappresentasse tra la regina Tiye, moglie di Amenofi III; Nefertiti, regina e consorte principale di Akhenaton; oppure Kiya, la sua seconda consorte. Risale ad un periodo compreso tra il 1352 e il 1336 a.C. ed è un superbo esemplare dello stile Amarna, un canone che si afferma con la XVIII dinastia nel periodo del cosiddetto Nuovo Regno, quando Akhenaton sposta la capitale da Tebe al Medio Egitto nell'antica Akhetaton (che significa Orizzonte di Aton e oggi si chiama Tell el-Amarna). Dal nome della località deriva la denominazione dello stile che si sviluppò insieme alla costruzione della nuova capitale e alla nuova e diversa concezione religiosa di re Akhenaton che non mancò di dettare le regole anche al canone stilistico. Ed entro il tempo di questo regno, prima che Akhetaton venga dimenticata dalle successive dinastie che spostano di nuovo la capitale, si sviluppa un'arte del tutto diversa da quella che svolgeva funzioni politiche, religiose e propagandistiche e dunque irrigidiva le sue forme in un simbolismo strettamente codificato dalla tradizione e dai sacerdoti, dal cui controllo Akhenaton si era sottratto. L'arte di Amarna rappresenta quindi un momento del tutto antitetico a quella tradizionale con un verismo molto appassionato e vitalistico, con frequenti immagini di vita familiare come documenta anche questo rilievo oggi a Berlino con Akhenaton, Nefertiti e le figlie (figg. 4-6).
In mancanza di quadro più completo sull'opera nel suo insieme e di fronte alla potenziale plurivocità di intenzioni e significati la bellezza e suggestione del frammento ci spinge a formulare alcune ipotesi esplicative intorno al senso di quel contorno che corre così meravigliosamente intorno a queste labbra.



 
Fig. 4. Rilievo con Akhenaton, Nefertiti e le figlie, Berlino, Staatliche Museen, Agyptisches Museum  Z     P    



 
Fig. 5. Due campioni significativi della statuaria dello stile di Amarna che esemplificano bene il leggiadro e disinvolto naturalismo scultoreo del periodo. a) Torso di principessa, si ipotizza della regina Nefertiti, quarzite rossa, Louvre, Parigi b) Torso di principess rinvenuto ad Amarna, quarzite marrone rossastra, Petrie Museum, University College, Londra  Z     P    



 
Fig. 6 a) Busto di Nefertiti, Neues Museum, Berlino; b) Testa di Nefertiti dalla bottega di Thutmose ad Amarna, quarzite, Egyptina Museum, Berlino; c) Testa di principessa dalla bottega di Thutmose ad Amarna, quarzite marrone, Pergamon_Museum d) Testa non finita di Nefertiti, Egyptian National Museum, Cairo e) Busto di principessa, Louvre, Parigi  Z     P    


L'orlo come artificio che nel mentre si esibisce valorizza la natura

In questa cornice trovano la loro ragionevole collocazione queste bellissime labbra, dalla perfetta modulazione dei volumi in una cornice di magnifica politezza e straordinaria morbidezza che viene tradotta in lucentezza dura e massimamente liscia. Al centro di questo splendore plastico il capolavoro costituito dall'orlo delle labbra che sottolinea la meraviglia del disegno anatomico, creando uno scalino, un'ispessimento plastico prima del salto anatomico dal tessuto cutaneo a quello delle labbra, che non sono striate come in natura ma perfettamente lisce, forse per ridurre i parametri di contrasto.
Ebbene questo orlo così disegnativo, per dirla con Wölfflin, e contrastante col morbidissimo naturalismo anatomico di guance e labbra risulta estremamente affascinante e induce a pensare che possa essere motivato dall'intenzione di mettere in rilievo la costruzione artificiale nel suo sovrapporsi alla forma naturale. E' costante nella sottigliezza di spessore e perfetto di spigolo e sembra un'affermazione piena della creazione artistica come produttrice e innestatrice dell'artificiale sul naturale, quindi di una valorizzazione del naturale per mezzo dell'artificio. Saremmo di fronte ad una stilizzazione che interviene a sottolineare e innalzare la bellezza naturale a bellezza artificiale nel momento in cui perfeziona e idealizza il dato naturale. Sarebbe proprio lo 'scalino', il cambio di tessuto, a costituire -insieme al disegno del contorno- il luogo di manifestazione dell'artificio, un'insorgenza della componente geometrico astrattiva che nel mentre stilizza e perfeziona la natura ne enfatizza le qualità più sensuali e attraenti.
Dunque anche una dichiarazione estetica, l'orlo di queste labbra si può infatti considerare un oggetto teorico nel senso di Omar Calabrese, ovvero una forma artistica che oltre a rappresentare il proprio oggetto riflette anche sul modo in cui lo fa. Perché il contorno che si fa scalino costituisce appunto un'elegantissima enfatizzazione anche dell'artificio astratto [2].


Nell'orlo il canone asservito alla valorizzazione della sensualità

I canoni della rappresentazione tradizionale egizia della figura umana e in special modo dei componenti delle famiglie reali sono quelli di una rappresentazione simbolica e non realistica, in cui i vari tratti morfologici e somatici sono interpretati in funzione della restituzione degli attributi di rango, nonché delle virtù morali e spirituali attribuite ai personaggi. E tutti questi vari tratti sono simbolizzati da segni molto netti e ben scanditi al fine di costituire quella sorta di pittogrammaticità, di scrittura per simboli visivi che conosciamo.
Al contrario di questo, l'arte della fase amarniana, punta decisamente in una direzione diversa e più naturalistica, ecco allora che l'orlo della bocca potrebbe essere interpretato non tanto come espressione della coscienza dell'atto artistico, cioè esplicita enunciazione riguardante l'artificio riproduttivo astratto (il contorno), che è qualcosa che ha senso alla luce della nostra sensibilità, quando piuttosto come artificio che si porta dietro le convenzioni dell'arte tradizionale, che disegna e fa spiccare i dettagli che simbolizzano le proprietà del soggetto. Tranne che in questo modo il disegno ha il potere di far risaltare le qualità sensuali del soggetto rimarcando la soglia tra pelle e labbra, come se -si può ipotizzare- non ci fosse metamorfosi tessutale nella continuità che noi conosciamo ma la pelle costituisse un rivestimento esterno e le labbra appartenessero all'interno del corpo. In sostanza è come se la sensualità fosse una dote interiore e intima, in piena continuità con la prassi di simbolizzare le proprietà come componenti discrete. Anche se questo parrebbe del tutto antitetico alle convenzioni artistiche precedenti che eleggendo a tema primario le qualità simboliche, morali e politiche relegavano l'aspetto a puro accidente mentre qui plastica e disegno sembrano potentemente concentrate nella messa in risalto delle qualità sensuali della donna, di questa donna.
Ovviamente non si può dimenticare che la brevità di durata del canone amarniano - tra 20 e 30 anni al massimo- rende difficile sopratutto a chi non è egittologo poter ricostruire il senso delle intenzioni artistiche dell'autore di un frammento rimasto fortunosamente integro. Ed è del tutto verosimile, così come viene ipotizzato anche da Dorothea Arnold [3], che la violenta distruzione della scultura, di cui sarebbero sintomo le linee di frattura della parte superiore del volto, siano da attribuirsi alla restaurazione dottrinaria che avviene alla fine del regno di Akhenaton, con la tipica violenza iconoclasta dei processi reazionari nel tentativo di cancellare qualsiasi deviazione dalle norme canoniche.
Si può dunque pensare che per inerzia rispetto alle convenzioni vigenti, e pur nella direzione eterodossa intrapresa dallo stile amarniano, in questo caso si sia sperimentata la possibilità di usare -col contorno- le convenzioni disegnative e le stilizzazioni tradizionali per far risaltare il passaggio dalla cute alle labbra come differenza di tessuto al fine di enfatizzare la qualità sensuale di quella persona, così come non si evitava -lo dice la storiografia artistica- di rappresentare fedelmente i piccoli difetti dei sovrani, come tratti massimamente individualizzanti dei ritratti.


L'orlo derivato da un modello percettivo

Tuttavia, la recente visione di un filmato di argomento del tutto differente dall'archeologia mi conduce ad un ulteriore focus interpretativo. Il filmato è un reportage di Francesca Mannocchi sulla guerra in Sudan e in specifico sulla tragedia degli stupri di guerra che subiscono le donne che vivono in quelle terre. Nello specifico, una delle donne intervistate, aveva labbra che somigliavano a queste. Con una rapida ricerca ho poi scoperto tra le etnie dell'alta valle del Nilo che le donna Dinka hanno un orlo delle labbra che legittima una stilizzazione di questo tipo (fig.7). Quindi si può supporre che la regina egizia fosse nativa di quella zona o appartenesse a quella etnia.
Da questo consegue un ridimensionamento dell'ipotesi riguardante la sopravvalutazione dell'intenzione artistica. E che cioè la stilizzazione dell'orlo possa dipendere non da un'astratta dialettica tra naturalismo e astrazione nell'arte, quanto semmai da una più ordinaria trasformazione dei tratti morfologici previsti da un modello percettivo naturalistico in labbra di pietra; e che l'artificio scultoreo non si possa pensare come dipendente da un atto di invenzione artistica basato sulla volontà di mettere in scena la stilizzazione artistica. Diminuisce insomma l'autoriflessività estetica dell'atto inventivo che può essere ricondotto ad una invenzione naturalistica e non ad un atto metalinguistico, alla dichiarata intenzione di far convivere e dialogare istanze mimetiche e attrattive. Anche se ovviamente questo non diminuisce la felice riuscita, la bellezza del pezzo.



 
Fig. 7. Volti di donne di etnia Dinka. Da Francesca Mannocchi, Reportage sulla guerra in Sudan, 2025, La7 e immagini dal Web  Z     P    


L'orlo si fa cordolo

A ben vedere le labbra del frammento della testa di regina si ritrovano riprodotte in materia diversa, oro invece che diaspro giallo, nella maschera mortuaria di Tutankhamon conservata al Museo Egizio de Il Cairo (fig. 8). E se la bottega dello scultore di corte Thutmose aveva scolpito le labbra in diaspro di un'altezza reale (perché il diaspro era la pietra con cui si scolpivano le effigi dei reali) all'inizio del regno di Akhenaton nel fulgore di quella rivoluzione religiosa e artistica che porta una ventata di vitalità naturalistica nell'arte egizia, Tutankhamon vive il suo breve regno alla fine di quel ciclo e nella fase della violenta restaurazione delle credenze e dell'arte antica.
Anch'egli, nato col nome Tutankhaton in continuità col nome del padre cambierà nome in Tutankhamon dove la desinenza -amon è riferita al nome del vecchio Dio Amon contro cui Akhenaton si era rivoltato nel mentre combatteva la vecchia gerarchia sacerdotale. Quindi Tutankhaton cambia nome e probabilmente rinnega la rivoluzione del culto solare voluta dal padre ma nel momento in cui muore le labbra della sua maschera mortuaria vengono plasmate nello stile di quella testa di regina che probabilmente era già andata distrutta in una vendetta iconoclasta senza precedenti. Motivata non solo dalla strenua volontà di tornare alle antiche credenze annullando valori estetici nuovi e insostenibili e condannando Akhenaton ad una spietata damnatio memoriae, spiegabile anche come vendetta contro chi aveva fatto sistematicamente scalpellare via in tutto il regno emblemi e pittogrammmi del dio Amon. Ora, certamente anche per la differenza materiale e per la differente tecnica di plasmazione, verosimilmente dell'argilla, non fu possibile ottenere gli stessi effetti materiali e di suggestione sensorea. Forse si può pensare che si fosse tornati a evitare l'eccessiva capacità simulativa degli effetti plastici naturalistici, forse perché la stilizzazione disegnativa stava tornando a marcare i contorni delle figure cosicché il sottile ed elegantissimo profilo sollevato della cute del volto della regina di diaspro, quel fantastico orlo, qui pare diventare un decorativo cordolo di contorno alle labbra.



 
Fig. 8. Maschera funeraria di Tutankhamon, in oro, ca., 1323 a.C., Museo egizio del Cairo   Z     P    


Tentativi di generare il completamento con intelligenza artificiale

Perso l'intero un dettaglio così suggestivo impone domande e immaginazioni su come gli altri tratti somatici potessero essere stati plasmati dall'estro inventivo dello scultore. E siccome gli esperimenti mentali hanno quella indeterminatezza e mancanza di fissità che impedisce di fare valutazioni d'insieme sulla coerenza e la congruenza delle soluzioni combinatorie di tratti, stili e stilemi messi insieme facendo una pur superficiale ricerca iconografica sull'arte dell'antico egizio e sull'arte amarniana in specifico, ecco che la prospettiva di poter orientare una simulazione virtuale a far tesoro di pochi e molto ben definiti artifici di stilizzazione si prospettava una soluzione promettente per mettere alla prova -al tempo stesso- sia le conoscenze e le ipotesi che gli strumenti.
Ma dirigere l'azione dell'intelligenza artificiale in definitiva non è stato semplice né proficuo. Tra i vari strumenti gratuiti utilizzati, Stable diffusion, Perplexity e Open Art non hanno prodotto risultati apprezzabili con lo stesso prompt o istruzione testuale. Più interessanti invece gli output di ChatGPT e Google Gemini (fig.9) anche se in entrambi i casi, anche attraverso ripetute modifiche del prompt non si riesce a fargli intendere di dover calcare quell'orlo che corre intorno alla bocca, tagliato e ispessito in quel modo e misura. E soprattutto non lo si vede applicare quel modo formativo nel plasmare occhi, sopracciglia, naso e orecchie. Restituendo l'effetto di un dispositivo generativo incapace di comprendere e replicare con acume quell'intelligenza inventiva.



 
Fig. 9. Esperimenti di generazione dell'insieme a partire dal frammento con varie intelligenze artificiali generative: a e b ChatGPT 4.0; c, d, e Google Gemini   Z     P    


Riferimenti bibliografici

Dorothea Arnold, Lyn Green, and James Allen, The Royal Women of Amarna Images of Beauty from Ancient Egypt, New York, Metropolitan Museum of Art, 1996
Omar Calabrese, La macchina della pittura, Laterza, Roma-Bari, 1985
Omar Calabrese, "Dettaglio e Frammento" in L'età Neobarocca, Laterza, Roma-Bari, 1987, pp 73-93
Anna Ottani Cavina, "Il settecento e l'antico", in Storia dell'Arte Italiana, II-vol.2, Einaudi, Torino, 1982


Note

[1]  Cfr. Anna Ottani Cavina, 1982:613.

[2]  Omar Calabrese, sulla scorta delle teorizzazioni di Hubert Damish e Louis Marin, definisce oggetti teorici quei testi pittorici, o di altra materia, che oltre a rappresentare qualcosa compiono un'operazione riflessiva tematizzando il fare pittorico stesso. In questo senso la nozione di oggetto teorico ci consente di concepire la prassi figurativa come “linguaggio” che non “parla” solo di ciò che rappresenta, ma anche di se stessa, del proprio essere rappresentazione e delle condizioni per esserlo. E se le forme figurative sono riconoscibili anche in virtù di quei sistemi di regole che configurano forme, colori e superfici attraverso codici e convenzioni rappresentative come ad esempio la prospettiva, le teorie della rappresentazione e della comunicazione che garantiscono il riconoscimento di tali organizzazioni astratte daranno luogo, in tali oggetti teorici a teorie della pittura espresse attraverso la pittura. E questo conferisce a tali opere uno status di enunciazioni metalinguistiche sul proprio fare. Si ha dunque a che fare con oggetti teorici concernenti la produzione di senso mediante forme, quindi restando nel dominio delle forme stesse, quindi del linguaggio della specifica arte, quindi un metalinguaggio che non ha bisogno del verbale. Cfr. Calabrese, 1985:1-49.

[3]  Cfr. Dorothea Arnold, 1996:35.



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