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scritti
ago 2024 |  commento   
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> Fiotti di luce a memoria

Una remota epifania istantanea






Ho ricollocato nell'immagine di questa curva, che è sulla via che attraversa Malaventre da Migliarino Pisano a Nodica, i due pali tra cui correva il filo che sosteneva la vecchia lampada che la illuminava e che se non ricordo male insieme ai pali ha resistito fino alla fine dei '70, o ai primi '80. Era il vecchio modo di illuminare le strade, forse dal secondo dopoguerra o anche da prima, e che vedeva disseminate qua e là in campagne, paesi e città queste lampade sospese che pur potenti facevano una luce fioca, rischiarante per quanto possibile i punti critici del muoversi di allora.

Ma come si sa il bello di queste luci pubbliche erano le notti tempestose, quando beccheggiavano sbattute dal vento. E qui le differenze di collocazione erano decisive per gli effetti che producevano, perché nei centri abitati l'alternarsi di luce e buio era diverso da ciò che succedeva nel vuoto di campagna. Infatti a ridosso delle case luci e ombre danzavano forsennate sui muri secondo l'intensità della bufera; si allungavano, si scorciavano, deformavano proiezioni di pali, cornicioni, pluviali e spigoli di casa che ti sentivi subito piombato sulla scena di un film dell'orrore, tipo il Nosferatu di Murnau.

Tuttavia anche in mezzo ai vuoti dei campi queste luci, puntualmente potenti ma spazialmente deboli potevano sortire effetti suggestivi, è quello che ricordo proprio di quesa lampada e d'una volta che ci passai da bambino in macchina con mio padre -credo- e che mi colpì molto.
Come in questa foto venivamo da Migliarino, il cielo era buio anche se a tramonto ormai finito rimaneva nel cielo oltre i colli quache flebile chiarore violaceo ... C'era un gran vento e anche per quello forse si andava piano con la 500 che di per sé non era certo un razzo e che per questo -in generale- lasciava tempi di osservazione del paesaggio un po' diversi da quelli della parabrezzoscopia d'oggidì.

Forse anche per il rettilineo che l'anticipava potei osservare le ripetute fluttuazioni della luce sulla curva, o meglio: i violenti schiaffi del vento contro quest'esile lume sospeso in mezzo al vuoto. Ed era fantastico come quando proiettava luce sulla strada questa apparisse all'improvviso, mentre al contrario quando era capovolta, intraversata, rovesciata, lo spazio più immediato scomparisse inghiottito dalla notte. Addirittura veniva in risalto il crinale lontano del Monte del Legnaio, sopra le cave di Radicata di cui si intravedevano addirittura gli sgaruffati cipressi (o lecci, non ricordo bene; spariti comunque ormai da molti anni). E questi si vedevano in controluce davanti al cielo color prugna di notte.

E questo contrasto altalenante, di vicinissimo e di lontano, questa impressionante schizofrenia delle distanze si acuiva man mano che ci avvicinavamo e si concluse nell'abbaglio luminoso dell'occhiata da sotto in su e nella fisiologica cecità a seguire, laddove peraltro quella manifestazione percettiva era per forza di fisica e topografia ormai conclusa.

Adesso i pali e la lampada non ci sono più, e come loro il mio ricordo gelosamente mantenuto a lungo nelle nebbie dell'indefinizione, frammisto ad altri ricordi, sensazioni percettive, e spiegazioni; disciplinato infine dalle parole in un discorso ordinato cessa di fluttuare nell'indistinto, muore mentre si compone nelle forme della suggestione scritta.



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